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separazione consensualeLa separazione consensuale spesso è la via più rapida per lasciarsi alle spalle la crisi matrimoniale e ricominciare una nuova vita.

Ma se è così, perché tanti coniugi optano ancora per la separazione giudiziale?

La spiegazione è presto detta: la separazione consensuale ha come presupposto necessario che in coniugi trovino un accordo per regolamentare la propria vita da separati.

Nel ricorso che verrà presentato al Tribunale competente, infatti, i coniugi dovranno indicare come intendono regolamentare l’affidamento condiviso e il mantenimento dei figli minori, le modalità di visita dei figli da parte del genitore non collocatario e l’eventuale assegnazione della casa coniugale, oltre, ove previsto, il mantenimento personale per il coniuge economicamente più debole.

Con la separazione consensuale è inoltre possibile definire anche i rapporti patrimoniali tra i coniugi agevolandosi dell’esenzione fiscale.

Ogni trasferimento immobiliare, deciso dai coniugi nelle condizioni del ricorso, infatti, gode di una totale esenzione fiscale.

La parte più delicata della separazione consensuale è dunque proprio la trattativa volta a definire le condizioni della separazione.

Se i coniugi, tuttavia, non riescono a trovare un accordo sulle condizioni essenziali della separazione, non sarà possibile depositare un ricorso consensuale ed entrambi i coniugi dovranno esporre le proprie rispettive richieste al Tribunale nell’ambito di una separazione giudiziale.

Ma basta l’accordo dei coniugi a dare efficacia alla separazione?

In realtà l’accordo dei coniugi è solamente il presupposto per la separazione consensuale; presupposto essenziale ma non sufficiente.

Affinché i coniugi possa dirsi legalmente separati, infatti è necessario che le condizioni della separazione riportate nel ricorso per separazione consensuale siano omologate dal Tribunale competente.

L’omologa della separazione da parte del Tribunale, non è tuttavia una mera formalità, se i coniugi hanno dei figli minori.

Il Tribunale, infatti, in questa fase è chiamato a tutelare proprio i figli minori, valutando che le modalità decise dai coniugi per regolamentare l’affidamento condiviso ed il mantenimento dei figli, sia congruo alle esigenze dei minori.

Anche per questo motivo, oltre che per verificare la bontà di accordi che, presi in questa fase, saranno vincolanti per i coniugi, è importante avvalersi della consulenza e dell’assistenza di un avvocato divorzista, che consenta agli interessati di comprendere pienamente quali sono i propri diritti ed i propri doveri.

Avv. Elena Angela Sestini

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I figli adolescenti spesso vivono la separazione dei genitori in modo attivo e partecipe.

ascolto del minore

I figli adolescenti hanno diritto di essere sentiti dal Giudice della separazione dei loro genitori.

E il Giudice della separazione ha un corrispondente dovere di ascoltare il minore ultra dodicenne in caso di disaccordo dei genitori in merito alle questioni che lo riguardano.

La residenza del figlio adolescente o preadolescente è una cosa che lo riguarda da vicino e sulla quale egli ha quindi il diritto riconosciuto di dire la sua.

Ciò non significa che siano i figli adolescenti a decidere del proprio futuro.

Spesso tuttavia i ragazzi diventano, loro malgrado, protagonisti della separazione dei genitori.

Talvolta sono addirittura i ragazzi a tirarne le fila, schierandosi senza mezzi termini per uno dei due genitori, magari attribuendo all’altro genitore ogni responsabilità dello sfascio della famiglia.

Altre volte sono letteralmente tirati per la giacchetta da entrambi i genitori, ciascuno allo scopo di avere il figlio dalla propria parte e vincere la partita nei confronti dell’altro.

In una separazione in cui i figli adolescenti sono chiamati in Tribunale, nessuno dei protagonisti vince, perdono tutti!

Perde chi pretende di costringere un figlio a schierarsi dalla propria parte (che lo ottenga o meno).

Ma perde anche chi alza le mani di fronte a questo comportamento e rinuncia a lottare.

Perde il figlio adolescente, che penserà di aver contribuito alla decisione del Giudice, che ne sia contento o meno.

E perde il ragazzo che porterà sempre con sé il dolore ed il senso di colpa di aver contribuito a dare il colpo di grazia ad uno dei propri genitori in un momento di debolezza.

Perde anche il figlio che non intenda schierarsi, perché uno dei suoi genitori (o magari entrambi) glielo rinfaccerà.

Certamente perde la persona.

Dietro al ruolo famigliare (padre, madre o figlio che sia), infatti, c’è una persona costretta a mettere in piazza, davanti a Giudici, Avvocati e Psicologi, la propria vita, le proprie abitudini, la propria personalità.

Il Giudice della separazione è tenuto a sentire i figli minori che abbiano compiuto i 12 anni, in relazione alle decisioni che li riguardano direttamente.

Ma il Giudice è tenuto a decidere secondo le richieste dei figli adolescenti?

Ovviamente no.

Il fatto che il Giudice debba sentire il minore ultra dodicenne non significa certamente che debba attenersi poi, nella sua decisione, alle preferenze espresse dal ragazzo.

Ovviamente tuttavia, le richieste e le parole dei figli adolescenti avranno un peso e saranno attentamente valutate dal Giudice o, talvolta, da uno psicologo da questi delegato.

Spetterà dunque al Giudice comprendere quanto siano autentiche o imboccate dal genitore le parole del minore.

Sarà sempre il Giudice a dover capire quale sia il bene del ragazzo, indipendentemente dai desideri che egli esprime.

Se lo riterrà opportuno il Giudice deciderà quindi diversamente.

La decisione finale, comunque, sarà sempre presa nell’ottica dell’effettivo interesse del minore.

Ma chissà cosa penserà quel ragazzo, qualunque sarà la decisione del Giudice nella separazione dei suoi genitori?

Anche per tale motivo i genitori devono sempre considerare se la soluzione del compromesso non sia la via migliore per sé e per i figli.

Separarsi senza rovinarsi significa optare per il benessere dei figli, adolescenti o bambini che siano.

La separazione giudiziale, ovvero il contenzioso minorile, talvolta sono inevitabili.

In tali casi è l’avvocato divorzista, esperto in diritto di famiglia, a dover indirizzare la strategia difensiva al fine di minimizzare i costi umani che sarebbero anche i figli a sostenere.

 

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separazione con addebitoL’addebito della separazione è un’eredità della vecchia e discriminatoria separazione per colpa.

L’addebito della separazione ha sostituito la separazione per colpa, resistita nel nostro ordinamento sino agli anni ’70.

Ma in cosa consisteva la separazione per colpa?

Per meglio comprendere le origini dell’attuale addebito della separazione è opportuno un cenno storico.

Il moderno diritto di famiglia, particolarmente innovato negli ultimi dieci anni, è frutto di una prima epocale riforma del 1975.

La riforma fu sollecitata certamente anche dalla legge sul divorzio del 1970.

Basti pensare che prima del 1970, era possibile separarsi solo per colpa di uno dei due coniugi.

La colpa derivava dall’aver messo in atto comportamenti particolarmente gravi: adulterio, abbandono volontario, eccessi, sevizie, minacce o ingiurie gravi, ai danni dell’altro coniuge.

Non era ammessa, tuttavia, l’azione di separazione per adulterio del marito se non quando concorressero gravi circostanze per cui l’adulterio costituisse un’ingiuria grave alla moglie.

Il reato di adulterio, infatti, era previsto solo per punire il comportamento della moglie, mentre l’eventuale adulterio del marito doveva trasformarsi in “concubinato” (ossia in una vera e propria relazione stabile) per costituire reato.

Dopo gli interventi della Corte Costituzionale nel 1968, la legge sul divorzio del 1970 e la riforma del diritto di famiglia del 1975 hanno sancito la parità dei coniugi sotto ogni profilo, materiale e morale.

L’addebito della separazione è quindi frutto di un compromesso storico.

Si è eliminato il concetto di “colpa”, ma si è lasciata la sanzione per il coniuge che ponga in essere comportamenti contrari ai doveri del matrimonio, che costituiscano la causa effettiva della separazione.

Quali sono i presupposti per l’addebito della separazione ad uno dei due coniugi?

Oggi la separazione dei coniugi ha come fondamento ed unico presupposto l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza coniugale.

L’addebito della separazione ad uno dei due coniugi, tuttavia, introduce un altro tipo di accertamento, che il Giudice può effettuare solo su espressa domanda dell’altro coniuge nell’ambito di una separazione giudiziale.

Il primo presupposto perché vi sia l’addebito della separazione è che il coniuge in questione abbia effettivamente posto in essere il comportamento contrario ai doveri del matrimonio imputatogli dall’altro coniuge.

Il secondo presupposto è che tale comportamento abbia costituito la causa dell’intollerabilità della convivenza.

Secondo la giurisprudenza l’infedeltà coniugale può costituire motivo di addebito della separazione se sarà dimostrato che tale infedeltà ha effettivamente causato l’intollerabilità della convivenza.

Se, al contrario, i coniugi mantenevano, già prima dell’infedeltà, una convivenza solo formale  al coniuge infedele non potrà essere addebitata la separazione.

Il matrimonio, in tal caso, infatti, era già compromesso prima del comportamento contrario ai doveri del matrimonio.

Alcuni comportamenti tipicamente contrari ai doveri matrimoniali sono: maltrattamenti e violenze in famiglia; abbandono della casa coniugale e la violazione dell’obbligo di coabitazione; ingiustificato continuo rifiuto di rapporti intimi.

Tali comportamenti, tuttavia, se posti in essere dopo l’avvio della crisi matrimoniale, non sono idonei a fondare una pronuncia di addebito della separazione.

Quali sono le conseguenze dell’addebito della separazione?

Gli effetti dell’addebito della separazione hanno esclusivamente natura patrimoniale.

L’addebito della separazione preclude al coniuge che ne avrebbe avuto diritto di poter avere un assegno di mantenimento per sé a carico dell’altro coniuge.

Qualora, dunque, il coniuge al quale sia addebitata la separazione non avesse comunque diritto ad un assegno di mantenimento da parte dell’altro coniuge, non subirà, finché resterà in vita l’altro coniuge, alcuna conseguenza di natura patrimoniale.

Le altre conseguenze sono infatti di natura successoria.

Il coniuge separato e non ancora divorziato ha, in assenza di addebito della separazione, gli stessi diritti successori del coniuge non separato.

Il coniuge superstite al quale sia stata addebitata la separazione perde ogni diritto successorio nei confronti del coniuge separato.

Anche tale sanzione ha spesso scarsa rilevanza pratica, considerato che, per effetto della legge che ha introdotto il cosiddetto “divorzio breve“, anche il coniuge separato giudizialmente può chiedere il divorzio trascorso un anno dalla separazione.

E’ dunque opportuno valutare bene, con un avvocato divorzista esperto, se, anche in presenza dei presupposti per ottenere l’addebito della separazione all’altro coniuge, non sia comunque opportuno privilegiare la via della separazione consensuale.

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spese straordinarie per i figliLe spese straordinarie costituiscono sempre più spesso il pomo della discordia dei genitori che vivono separati e devono gestire l’affidamento condiviso dei figli.

I genitori non collocatari (ossia non conviventi con i figli) sanno bene, infatti, che oltre al mantenimento ordinario che mensilmente corrispondono al genitore collocatario, devono fare i conti con le spese straordinarie.

Ma cosa sono in concreto le spese straordinarie?

La risposta a questa domanda elementare in realtà è tutt’altro che semplice o scontata.

La Corte di Cassazione, con un’ordinanza del 17 gennaio 2018, ha ribadito che le spese straordinarie “si identificano in quelle spese che, per la loro rilevanza, la loro imprevedibilità e la loro imponderabilità esulano dall’ordinario regime di vita della prole“.

Proprio per questa ragione le spese straordinarie non possono essere forfettariamente predeterminate.

Tale definizione, tuttavia, in quanto estremamente generica, non sembra aiutare a comprendere quali spese, concretamente, possano dirsi ricomprese nell’assegno di mantenimento mensile e quali, invece, debbano essere pagate in aggiunta e separatamente.

La necessità di spegnere sul nascere i contenziosi tra genitori ha favorito il proliferare, in molti Tribunali italiani, di cosiddetti “Protocolli”, realizzati con la collaborazione di Giudici e Avvocati esperti in diritto di famiglia.

Tali Protocolli, nati appunto dalla necessità di identificare con chiarezza le spese escluse dal mantenimento ordinario, tuttavia, sono in parte diversi da Tribunale a Tribunale

E così, se una coppia si separa a Brescia o a Milano, ma anche a Firenze o di Taranto, solo per citarne alcuni, applicando i rispettivi Protocolli, la mensa scolastica è correttamente ricompresa nel mantenimento ordinario, in linea anche con quanto espressamente previsto sul punto dalla Corte di Cassazione, mentre se la coppia si separa a Bergamo, il genitore non collocatario, con l’applicazione del Protocollo orobico, dovrà partecipare alla spesa della mensa scolastica in aggiunta al mantenimento ordinario.

A ben vedere nei Protocolli sono spesso ricomprese spese che stridono con la definizione di “spesa straordinaria” già più volte ribadita dai giudici della Suprema Corte.

Le spese per l’acquisto dell’abbonamento dell’autobus, della cancelleria (quaderni, matite, gomme, penne, ecc…) ed, ancor più, della mensa si possono davvero considerare spese che “per la loro rilevanza, la loro imprevedibilità e la loro imponderabilità esulano dall’ordinario regime di vita della prole”?

Se i genitori vanno d’accordo e concordano che tali spese debbano essere ricomprese nell’assegno di mantenimento, applicare il Protocollo del Tribunale è obbligatorio?

Che valore ha il Protocollo del Tribunale?

In verità nulla vieta che, nella costruzione di un accordo per una separazione consensuale, i genitori stabiliscano quali spese siano ricomprese nell’assegno di mantenimento e quali debbano considerarsi escluse e pagate a parte, in totale autonomia e senza aderire al Protocollo del Tribunale, purché le spese ricomprese nell’assegno di mantenimento non rivestano carattere di rilevanza economica, imponderabilità ed imprevedibilità da far ritenere ad un Giudice che non sia opportuno ritenerle ricomprese nel mantenimento ordinario.

E’ infatti il Giudice che, pur prendendo atto degli accordi dei genitori, è tenuto a tutelare i minori e garantire loro la congruità degli accordi assunti tra i genitori.

Il Protocollo è, dunque, semplicemente una convenzione, ma sarà certamente applicato dal Giudice in caso di disaccordo tra le parti.

Altra annosa questione è in relazione a quali spese debbano essere previamente concordate tra i genitori e quali invece possano essere decise autonomamente dal genitore collocatario.

Il genitore non collocatario deve essere preventivamente informato di tutte le spese straordinarie che l’altro genitore affronterà per i figli?

Una delle caratteristiche dei già citati Protocolli è proprio quella di definire quali spese siano da concordare preventivamente per poter essere addebitate anche all’altro genitore e quali invece possano essere decise in autonomia.

E’ evidente che l’affidamento condiviso impone ormai una concertazione ampia tra i genitori e suggerirebbe una separazione serena per il bene dei figli.

Tuttavia non sempre è possibile ed in tal caso gli interessi dei figli non possono essere subordinati ai capricci di un genitore che neghi il proprio assenso a spese economicamente sostenibili e rispondenti all’interesse dei figli, a solo scopo di ripicca o ritorsione.

Per questo motivo, nonostante i Protocolli si adoperino nel distinguere le spese straordinarie tra quelle che richiedono e quelle che non richiedono il preventivo accordo, secondo la Corte di Cassazione “non è necessario che l’esborso sia stato previamente concordato tra i genitori, ma solo che esso risponda al superiore interesse del/i minore/i“.

Come ben si può comprendere, in caso di disaccordo e magari di aperto contrasto tra i genitori, anche concordare le spese straordinarie per i figli spesso non è facile ed ogni questione finisce sul tavolo dell’avvocato divorzista esperto in diritto di famiglia, creando ulteriore motivo di scontro.

Per questa ragione, sebbene diversi Tribunali si siano ormai attrezzati varando Protocolli, in data 29 novembre  il 2017, il Consiglio Nazionale Forense ha pubblicato le proprie “Linee guida per la regolamentazione delle modalità di mantenimento dei figli nelle cause di diritto familiare“, che paiono di grande buon senso ed improntate ad avvicinare il diritto applicato alle sentenze della Corte di Cassazione in materia.

Gli sforzi effettuati dall’Avvocatura nel tentativo di ridurre le ragioni di attrito tra i genitori, sembra comincino a dare i propri frutti e con una maggiore integrazione dei ruoli genitoriali, certamente anche la questione relativa alle spese straordinarie sarà presto risolta a favore della serenità dei figli.

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assegnazione della casa coniugaleA quali condizioni il Giudice provvede all’assegnazione della casa coniugale?

Sull’assegnazione della casa coniugale c’è spesso molta confusione.

Ecco alcune delle domande che più di frequente mi vengono rivolte. Le condizioni economiche dei coniugi influiscono? Le proprietà immobiliari dei coniugi spostano gli equilibri? L’assegnazione della casa coniugale può esserci anche se non ci sono figli? E se i figli sono maggiorenni? E se la casa è dei genitori di uno dei due coniugi? Chi paga le spese relative alla casa dopo l’assegnazione? Si può avere l’assegnazione anche se il coniuge che ne avrebbe diritto è già proprietario della casa? Quando cessa il diritto all’assegnazione? Può essere assegnata la casa anche se la coppia non è sposata? Se la casa coniugale viene venduta dal proprietario prima o dopo l’assegnazione?

Cominciamo quindi a fare chiarezza.

L’assegnazione della casa coniugale non costituisce un modo per riequilibrare la situazione economica trai i coniugi, bensì una tutela per i figli della coppia in crisi.

Il Giudice, dunque, non può dar luogo all’assegnazione della casa coniugale al solo fine di aiutare il coniuge economicamente più debole.

Allo stesso modo il Giudice non può rifiutare l’assegnazione della casa coniugale perché il coniuge che ne avrebbe diritto ha altri immobili di proprietà.

L’assegnazione della casa coniugale ha lo scopo di tutelare il superiore interesse dei figli.

L’assegnazione della casa coniugale, infatti, viene effettuata dal Giudice solo ed esclusivamente quando il genitore che non ne è proprietario, o lo è solo in parte, continuerà a convivervi con i figli.

Con il provvedimento di assegnazione della casa coniugale il Giudice “comprime” il diritto di proprietà del genitore che ne è proprietario.

Prevale infatti il superiore diritto dei figli di continuare a vivere nel medesimo ambiente in cui sono cresciuti quando la famiglia era unita.

Non si avrà quindi assegnazione della casa coniugale in assenza di figli.

In tal caso, inoltre le questioni relative alle comproprietà dei coniugi, in difetto di un accordo, dovranno essere decise in un giudizio diverso rispetto a quello della separazione.

Cosa accade alla proprietà della casa coniugale di un coniuge dopo l’assegnazione all’altro coniuge?

La proprietà della casa coniugale rimane intatta in capo agli originali intestatari anche dopo l’assegnazione.

Ciò significa che, ove la casa coniugale sia stata acquistata con l’accensione di un mutuo bancario, il coniuge proprietario dovrà continuare a pagare le rate del mutuo, indipendentemente dal fatto che non possa godere dell’immobile.

Allo stesso modo, alla proprietà seguiranno le relative tasse e le spese di manutenzione straordinaria.

Ogni spesa relativa alla gestione ordinaria dell’immobile, nonché le spese per le utenze, invece, saranno a carico del coniuge assegnatario.

Come si fa a capire a quale genitore debba essere assegnata la casa coniugale?

La risposta a questa domanda è la diretta conseguenza di un’altra domanda.

Con chi vivranno i figli dopo la separazione dei genitori?

Con la legge sull’affidamento condiviso, nelle separazioni si prevede che i figli siano prevalentemente collocati presso uno dei due genitori.

Il genitore con cui vivranno i figli dopo la separazione, avrà diritto all’assegnazione della casa coniugale.

E’ evidente altresì che se l’immobile è già integralmente di proprietà del genitore che vi rimarrà a vivere con i figli, non vi sarà necessità di effettuare alcuna assegnazione.

In tal caso, infatti, il diritto del genitore di mantenere la propria abitazione nella casa coniugale discende già dal  diritto di proprietà, che è più che sufficiente a garantire che i figli possano continuare a vivervi.

L’assegnazione della casa coniugale viene concessa anche quando i figli sono maggiorenni?

La domanda è tutt’altro che banale, tant’è che mi viene rivolta spesso.

La risposta è sì, ma a condizione che i figli maggiorenni non siano economicamente indipendenti.

Sul punto anche la Suprema Corte di Cassazione ha rinnovato anche di recente la propria posizione in tal senso, sebbene, a mio avviso, cambi la ragione che è sottesa a tale decisione.

Se infatti l’assegnazione della casa coniugale al genitore di figli minori ha lo scopo di tutelare il diritto del minore a continuare a vivere nell’ambiente in cui è cresciuto, l’assegnazione della casa coniugale al genitore che ha figli ormai maggiorenni, non può rispondere più a tale logica, bensì ad una logica di contribuzione al mantenimento del figlio maggiorenne.

Tanto ciò è vero che il diritto all’assegnazione della casa cessa quando i figli maggiorenni divengono economicamente indipendenti, a prescindere che vi continuino a vivere per mera comodità.

Può essere assegnata la casa coniugale di proprietà di un terzo?

La risposta a tale domanda è certamente positiva.

Il caso che più frequentemente ha impegnato i Tribunali italiani è il seguente: la casa coniugale è concessa in comodato d’uso gratuito alla coppia dal genitore o da un parente di uno dei due coniugi.

Il problema normalmente non si pone quando la casa appartiene ad un parente del coniuge al quale dovrebbe essere assegnata al momento della separazione.

Al contrario, quando la casa è di proprietà del parente del coniuge che, dopo la separazione dovrà lasciarla, iniziano i problemi.

Il proprietario della casa, infatti, in tali casi vorrebbe rientrare in possesso del suo immobile.

Tuttavia, se al comodato non era stato apposto un termine di durata, il coniuge che vivrà con i figli avrà diritto di chiederne l’assegnazione.

Nella realtà dei fatti, spesso il comodato non solo non prevede un termine di durata, ma neppure viene regolamentato per iscritto.

In tali casi, pertanto, la casa coniugale, anche se di proprietà di un terzo estraneo alla coppia, sarà assegnata al genitore che vi vivrà con i figli ed il proprietario non potrà che attendere che questi si rendano economicamente indipendenti.

Se il proprietario della casa la vende a terzi può evitare o superare l’assegnazione?

L’assegnazione della casa coniugale può essere trascritta nei registri immobiliari, affinché anche eventuali terze persone interessate all’acquisto dell’immobile possano averne conoscenza prima di procedere ad acquisto che sarebbe poco redditizio.

Acquistando un’immobile che sia già stato oggetto di assegnazione come casa coniugale, infatti, significa non poterne godere, né poterlo far fruttare.

L’eventuale acquirente dell’immobile assegnato, infatti, dovrebbe rispettare il diritto derivante dall’assegnazione della casa coniugale.

Ciò non toglie che la proprietà può comunque essere trasferita ma tale trasferimento non potrà pregiudicare il diritto dei figli e del coniuge assegnatario.

L’assegnazione della casa coniugale può essere fatta anche se la coppia in crisi che ha avuto figli non si è mai sposata?

Certamente sì! La casa in cui ha vissuto la famiglia sino a quando è rimasta unita, in tal caso, viene definita “casa familiare”, ma la sostanza non cambia.

Tutte le questioni già trattate per la casa coniugale, infatti, si applicano pari pari anche alla casa familiare.

L’assegnazione della casa coniugale, o della casa familiare, come è facile comprendere, può avere risvolti patrimoniali ed economici molto significativi.

Prima di adibire un immobile a casa coniugale o familiare, dunque, è opportuno fare il quadro completo delle possibili conseguenze che tale utilizzo potrebbe comportare nel caso la coppia su cui si fonda la famiglia dovesse entrare in crisi.

Così come sarà opportuno fare le opportune valutazioni prima di decidere quale dei due coniugi dovrà acquistare la casa coniugale o se acquistarla insieme.

Anche solo prima di concedere in comodato d’uso gratuito il proprio immobile ad un figlio (ma anche a terzi), affinché possa magari iniziare a convivere con la sua ragazza e poi crearsi una famiglia, sarà opportuno rivolgersi ad un avvocato esperto in diritto di famiglia in modo da tutelare la proprietà che si concede in comodato ed anche la persona che si vorrebbe favorire.

 

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Festa della donnaOggi è il giorno della festa della donna.

Nel giorno della festa della donna, da donna avvocato, mi sento di condividere alcune riflessioni.

Una donna può essere mamma, moglie, compagna, amica  e anche professionista, manager, imprenditrice.

Tutto ciò senza smettere di essere donna.

Esattamente come accade agli uomini.

Le donne sono certamente diverse dagli uomini, ma non migliori o peggiori, non superiori o inferiori.

Gli esseri umani, uomini o donne che siano, prima SONO e poi FANNO.

Non deve quindi più accadere che un uomo possa impedire ad una donna di fare il lavoro che desidera o di ricoprire il ruolo per il quale si sente portata.

Allo stesso modo, tuttavia, non deve accadere il contrario.

Una mamma non è un genitore migliore di un papà.

E’ solo un genitore diverso.

Nel momento in cui, da donna, esigo rispetto per i diversi ruoli che ho scelto di ricoprire, mi sento in dovere di rispettare chi, da uomo, fa la medesima scelta.

Io posso scegliere di fare l’avvocato, senza per questo smettere di essere donna e di essere moglie e mamma.

Allo stesso modo un uomo deve poter scegliere di fare il papà, senza per questo dover smettere di essere uomo, marito o manager, professionista o imprenditore.

Il giorno della festa della donna è un giorno che ci ricorda quanto possano essere falsi e limitanti gli stereotipi e quanto sia importante scardinare la gabbia del pregiudizio.

La vera conquista vi sarà quando ogni essere umano potrà davvero realizzare le proprie aspirazioni, senza distinzioni di sesso.

Grazie anche alle battaglie femministe del secolo scorso ed ai progressi recepiti dal diritto, una donna manager, professionista, imprenditrice o calciatrice oggi ha certamente più chance di realizzarsi e fare carriera.

La festa della donna è una festa della parità dei sessi, anche a vantaggio degli uomini nell’ambito della famiglia.

Così come il mondo del lavoro non deve in nessun ambito ed in nessun ruolo essere precluso alle donne, allo stesso modo la famiglia non può e non deve essere appannaggio esclusivo della donna.

Un uomo che sacrifica le proprie ambizioni di carriera per la famiglia e per i figli oggi fa ancora parte di una minoranza.

Non per questo, tuttavia, a quell’uomo deve essere precluso il riconoscimento del proprio ruolo di padre.

Esattamente come una donna manager in un settore tipicamente maschile ha diritto di veder riconosciuti i propri meriti e di fare carriera con le medesime chance di un uomo.

Ancora oggi, invece, il ruolo paterno fatica ad essere riconosciuto all’interno della famiglia e le separazioni diventano occasione di battaglia per garantire la parità dei diritti genitoriali.

Il giorno della festa della donna, dunque, io rendo omaggio alla vera parità dei sessi o meglio, all’uguaglianza dei diritti di tutti gli esseri umani.

Trovo difficile che le donne possano davvero ottenere il riconoscimento della parità rispetto agli uomini nei settori tradizionalmente ritenuti maschili se, a propria volta, non sono disposte a riconoscere la parità degli uomini nei settori tradizionalmente ritenuti femminili.

Una donna a capo di un’azienda è una conquista della parità dei sessi, quanto lo è un padre al quale viene riconosciuto il ruolo di genitore di riferimento nell’ambito della famiglia.

E’ solo una questione di vocazione, non certo di sesso.

Gli uomini hanno ancora un po’ di strada da fare verso la parità dei sessi in famiglia.

Se, tuttavia, il movimento per i diritti delle donne ha radici ormai antiche ed ha ottenuto importanti vittorie sul campo, il movimento per i diritti degli uomini all’interno della famiglia è ancora molto giovane.

Sono certa che il riconoscimento dei diritti degli uomini nell’ambito della famiglia sia uno scatto di civiltà, anche a favore delle donne.

Rendere gli esseri umani liberi dagli stereotipi e lasciare che possano inseguire i propri sogni, indipendentemente da ogni differenza, è uno scatto di civiltà.

La differenza è un valore ed un’opportunità. Un plus, non un minus.

A chi mi chiede perché mi propongo spesso, come avvocato divorzista, di assistere gli uomini, quindi, rispondo che in questo modo, in realtà, io difendo anche le donne.

 

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mantenimento dei figliIl contributo dovuto per il mantenimento dei figli subisce gli influssi delle ultime novità in materia di mantenimento del coniuge?

Dopo che la Corte di Cassazione ha rivoluzionato il criterio per la determinazione dell’assegno di mantenimento per il coniuge divorziato, mi è stato chiesto spesso se il nuovo orientamento si estendesse anche al mantenimento dei figli.

Qual è il criterio per la determinazione dell’assegno di mantenimento dei figli?

Il contributo al mantenimento dei figli è stabilito ancora sulla base del tenore di vita che i figli hanno goduto durante il matrimonio?

Il mantenimento dei figli va parametrato al principio dell'”autosufficienza economica?

La risposta non doveva essere così scontata se la Corte di Cassazione ha ritenuto opportuno chiarirla.

Ogni dubbio sul fatto che la Sentenza Grilli avrebbe potuto estendere i suoi effetti anche al mantenimento dei figli è stato recentemente fugato dalla Corte di Cassazione.

I figli hanno il diritto di mantenere il tenore di vita loro consentito dai proventi e dalle disponibilità concrete di entrambi i genitori, e cioè quello stesso che avrebbero potuto godere in costanza di convivenza“.

Come si determina quindi in concreto il mantenimento dei figli?

Ecco i 5 parametri che il Giudice deve considerare per stabilire l’assegno di mantenimento dei figli.

1) le attuali esigenze del figlio

2) il tenore di vita goduto dal figlio durante la convivenza con entrambi i genitori

3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore

4) le risorse economiche di entrambi i genitori

5) il valore economico dei compiti domestici e di cura, svolti da ciascun genitore.

Per determinare l’assegno di mantenimento il Giudice valuta innanzitutto le attuali esigenze dei figli e il tenore di vita goduto durante il matrimonio.

Poi il Giudice considera non solo le capacità economiche di ciascun genitore (e bilancia eventuali disparità), ma anche il diverso tempo che il figlio trascorrerà con ciascun genitore (che quindi se ne farà carico diretto per quel tempo).

Infine il Giudice dovrebbe considerare che i compiti domestici (per es. lavare e stirare i vestiti dei bambini, preparare loro da mangiare, tenere in ordine la casa) e di cura (per es. seguire i bambini nei compiti scolastici, accompagnarli a scuola, alle attività sportive, ricreative ed eventualmente religiose) richiedono tempo ed un impegno costante, che devono essere considerati nella determinazione dell’assegno di mantenimento.

Il contributo al mantenimento dei figli non è quindi solo una somma dei costi che il genitore sostiene per loro.

Spesso i genitori tenuti al versamento dell’assegno di mantenimento lamentano che l’entità del mantenimento è spropositato rispetto al costo effettivo dei figli.

Il contributo previsto dal giudice non contempla solo le spese di vitto, alloggio e vestiario, ma è volto anche a ripagare il genitore che vive con il figlio del tempo e della dedizione che gli dedica.

E’ dovuto un assegno di mantenimento anche se entrambi i genitori provvedono direttamente al mantenimento dei figli?

Capita sempre più spesso che i figli trascorrano egual tempo con i due genitori, i quali  si dividono equamente i compiti domestici e di cura dei figli.

In tal caso, Giudice può decidere per il mantenimento diretto dei figli, ma solo quando i genitori hanno anche redditi equivalenti.

In tal caso il Giudice non disporrà alcun assegno di mantenimento.

L’eventuale disparità di reddito tra i genitori non consente al Giudice di non disporre l’assegno di mantenimento a carico del genitore più facoltoso.

L’assenza di un assegno di mantenimento, infatti, favorirebbe il genitore più facoltoso, a discapito dell’altro genitore.

Il genitore più abbiente potrebbe far godere ai figli un tenore di vita che l’altro genitore non potrebbe permettersi con i propri soli redditi.

I Giudici, quindi, tendono a mantenere l’assegno di mantenimento in caso di disparità di reddito, per evitare che i figli privilegino il genitore che ha maggiori possibilità economiche.

La determinazione dell’assegno di mantenimento dei figli richiede quindi una valutazione complessiva della situazione e del contesto famigliare.

Tale valutazione compete anche ai coniugi che, in fase di separazione, intendano optare per una separazione consensuale.

Per non aver poi rimpianti in seguito, è opportuno rivolgersi ad un avvocato divorzista che possa far affiorare tutti i risvolti del caso.

Solo con un’adeguata conoscenza dei propri diritti e dei propri doveri, infatti, i genitori possono fare una scelta consapevole e corretta anche per i figli.

Spesso si dice che se stanno bene i genitori stanno bene anche i figli, ma è giusto ricordare che è vero anche il contrario.

 

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infedeltà coniugaleL’infedeltà coniugale è una delle cause più frequenti di addebito della separazione ad uno dei due coniugi.

In cosa consiste l’infedeltà coniugale?

E’ necessario che si traduca in un rapporto sessuale extraconiugale? La risposta è certamente negativa.

L’infedeltà coniugale ha un significato più ampio rispetto al mero tradimento, che costituisce solo una delle modalità in cui si può concretizzare.

Possono infatti costituire infedeltà coniugale tutti i comportamenti, di natura sessuale o meno, che tradiscono la fiducia dell’altro.

E’ inoltre da considerare contrario al matrimonio ogni comportamento che lede la sensibilità e la dignità del coniuge.

I giudici si sono espressi in tal senso anche di recente nel valutare la fondatezza di richieste di addebito delle separazione per infedeltà coniugale.

La Corte di Cassazione, con una sentenza dell’aprile 2018, ha sottolineato che anche la ricerca di relazioni extraconiugali tramite internet viola gli obblighi di fedeltà tra i coniugi.

La Suprema Corte, quindi ha valutato tale comportamento “circostanza oggettivamente idonea a compromettere la fiducia tra i coniugi e a provocare l’insorgere della crisi matrimoniale all’origine della separazione”.

I Giudici hanno quindi valutato che tale comportamento avesse compromesso il rapporto matrimoniale, giustificando anche l’allontanamento della moglie dalla casa coniugale.

In linea con tale orientamento, anche il semplice tentativo di tradimento è contrario ai doveri del matrimonio.

Spesso dunque un abbonamento on line a siti internet che creano contatti a scopo sessuale può, a buon diritto, ledere la fiducia dell’altro coniuge e divenire causa di separazione.

Come incide l’infedeltà coniugale sull’addebito della separazione?

Per giustificare una richiesta di addebito della separazione, dunque, non è affatto necessario portare al Giudice la prova del tradimento sessuale.

Sarà invece sufficiente dar prova di un comportamento che abbia offeso l’altro coniuge ed incrinato profondamente la sua fiducia.

Mi viene chiesto spesso se sia opportuno incaricare un investigatore privato per raccogliere le prove del tradimento.

Un bravo investigatore privato, che sia anche un serio professionista, talvolta può aiutare, ma nella maggior parte dei casi è una spesa superflua.

Spesso infatti è il modo stesso in cui si concretizza il comportamento a costituire la prova dell’infedeltà coniugale.

Sarà tuttavia necessario dimostrare che il comportamento infedele del coniuge è il motivo principale della separazione.

Sull’opportunità di avviare una separazione giudiziale allo scopo di far valere una richiesta di addebito della separazione, tuttavia, il discorso è più ampio.

Le conseguenze dell’addebito della separazione, infatti, sono limitate ai diritti successori ed all’esclusione del mantenimento al coniuge che ne avrebbe avuto diritto.

Al di fuori di questi casi, dunque, è sempre opportuno perseguire la via della separazione consensuale.

Per queste ragioni è sempre opportuno che i coniugi in via di separazione si affidino ad un avvocato divorzista, esperto nella materia del diritto di famiglia, che possa consigliare serenamente le soluzioni migliori per uscire dalla crisi matrimoniale.

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diritto al mantenimentoIl diritto al mantenimento da parte dell’ex-coniuge non è per sempre!

Il diritto al mantenimento personale dell’ex coniuge è uno degli argomenti più dibattuti in materia di diritto di famiglia negli ultimi tempi ed anche noi lo abbiamo più volte affrontato, poiché è uno dei temi più critici da affrontare quando ci si rivolge a un avvocato divorzista per affrontare la fine del rapporto coniugale.

In quali circostanze l’ex moglie perde il diritto al mantenimento?

“Devo mantenere la mia ex moglie a vita?”

“La mia ex moglie si è rifatta una famiglia, posso smettere di pagarle il mantenimento?”

“Lei ha un altro uomo da dieci anni, devo continuare a mantenerla?”

“Ha ereditato la casa dei genitori e ora l’affitta. Devo continuare a mantenerla?”

“Se lei ora lavora e guadagna ha ancora diritto al mantenimento?”

Queste domande mi vengono rivolte spesso dagli ex mariti.

Ritengo quindi opportuno mettere in chiaro in quali circostanze l’ex moglie (ma sarebbe più corretto dire l’ex coniuge) perde il diritto al mantenimento personale.

Così come il nuovo matrimonio, anche una nuova convivenza fa venir meno il diritto al mantenimento da parte dell’ex coniuge.

Ma cosa s’intende per “convivenza”?

Se per convivenza s’intende la coabitazione, basterebbe non trasferire la residenza per aggirare la norma.

L’ex marito potrebbe rimanere obbligato a mantenere la ex moglie anche quando la stessa abbia uno stabile legame affettivo con un altra persona e persino abbia avuto un altro figlio, mantenendo con il nuovo partner residenze diverse.

Sarebbe però così molto semplice per l’ex moglie mantenere il diritto al mantenimento, pur in assenza dei presupposti sostanziali.

D’altra parte vi sono casi in cui gli stessi coniugi non convivono, magari per ragioni lavorative, eppure ciò di per sé non mette in discussione il legame affettivo e di vita che li unisce.

Tali osservazioni hanno indotto la Corte di Cassazione e, sulla scia, anche i Tribunali a rivedere la posizione assunta in precedenza.

La Suprema Corte, infatti, sia pure pronunciandosi in materia di risarcimento, ha mostrato di dare maggior peso al legame affettivo e al progetto di vita che lega due persone, piuttosto che al mero dato della coabitazione, di per sé poco significativo.

La Corte di Cassazione ha quindi preso atto dei tempi che cambiano e del fatto che una relazione affettiva possa essere alimentata e possa trovare progettualità anche a distanza, arrivando a dire che si può essere una coppia di fatto anche senza coabitare.

La costituzione di un nuovo nucleo famigliare prescinde dalla convivenza.

Sulla scia di questa interpretazione, il Tribunale di Como ha recentemente preso una decisione sostanzialmente innovativa.

All’ex moglie che aveva un rapporto stabile con il proprio compagno, tanto da avere un figlio da lui, non è bastato non conviverci.

Il Tribunale di Como infatti l’ha dichiarata decaduta dal diritto al mantenimento da parte dell’ex coniuge.

La nascita di un figlio sottintende un nuovo progetto di vita, che interrompe ogni legame con il precedente matrimonio e fa venir meno l’obbligo di mantenimento a carico dell’ex coniuge.

Perde il diritto al mantenimento anche l’ex coniuge che abbia redditi propri.

La ex moglie che aveva diritto al mantenimento lo perde quando trova un lavoro che le consente di mantenersi e la rende autosufficiente.

Il lavoro però non è l’unica fonte di reddito.

Un immobile ereditato dalla famiglia d’origine, per esempio, se affittato può divenire una fonte di reddito e contribuire all’indipendenza economica di una persona.

Una certa capacità di spesa può essere indice dell’autosufficienza economica.

Anche la capacità di spesa costituisce un indice importante dell’indipendenza economica.

Se l’ex moglie è in grado di affrontare spese decisamente più elevate rispetto a ciò che il mantenimento le consentirebbe, tali spese possono costituire una spia di un reddito non dichiarato.

Tale circostanza può consentire la rivalutazione dell’assegno di mantenimento, ma anche indurre la cessazione del diritto.

Considerato che ogni caso dovrà essere, come sempre valutato singolarmente, sarà comunque necessaria la consulenza di un avvocato divorzista per valutare l’opportunità di una richiesta di cessazione dell’obbligo del mantenimento.

 

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casa coniugale

L’assegnazione della casa coniugale è uno degli argomenti spesso più discussi nell’ambito di una separazione. Per questo motivo è anche uno dei punti che richiedono maggiore approfondimento.

Cosa s’intende per “casa coniugale“?

La casa coniugale è l’abitazione in cui risiedono i coniugi con la famiglia che hanno creato ed in cui si svolge la vita quotidiana dei figli.

Nel nostro ordinamento la casa coniugale riveste un ruolo importante, sia sotto il profilo sociale che sotto quello giuridico.

E’ il luogo in cui i coniugi hanno stabilito la propria residenza, con ogni conseguente considerazione.

E’ il luogo in cui i figli sono cresciuti e nel quale hanno il loro “nido”.

La casa dove i figli hanno vissuto assume quindi grandissima importanza anche nell’ambito di una separazione dei coniugi.

Al momento della separazione, infatti, la casa coniugale è uno dei nodi cruciali di cui discutere.

La casa coniugale spesso per i figli costituisce, peraltro, il vero discrimine tra i genitori.

Approfondiamo il concetto.

Perché è tanto importante per i bambini l’assegnazione della casa coniugale?

Pur riconoscendo i diversi ruoli che i genitori hanno nella loro vita, nella maggior parte dei casi, i bambini amano allo stesso modo la mamma e il papà.

I bambini non fanno distinzioni di sentimento tra i loro genitori.

Cercheranno la mamma in certe circostanze ed il papà in altre, a seconda del loro vissuto famigliare, ma amano entrambi allo stesso modo.

Spesso, quindi, a dispetto di quanto si creda, è la casa in cui vive il bambino a costituire il vero distinguo tra i genitori.

Il bambino, che non saprebbe mai scegliere tra i suoi genitori, tenderà verosimilmente a privilegiare la casa in cui vive e che vede come un luogo sicuro ed accogliente.

Se è già di proprietà del coniuge che vi continuerà ad abitare con i figli, la casa coniugale non sarà oggetto di alcun provvedimento.

Se, invece, la casa coniugale è di proprietà, in tutto o in parte, del coniuge che la dovrà lasciare, è stato previsto che il Giudice possa provvedere ad assegnare la casa al genitore che vi continuerà ad abitare con i figli.

Ciò proprio per privilegiare l’esigenza dei figli minori di mantenere un punto di riferimento nel momento della crisi della famiglia.

L’assegnazione della casa al coniuge che continuerà a vivere con i figli minori è uno dei risvolti patrimoniali spesso più rilevanti della crisi della famiglia.

Si tratta infatti di uno dei rari casi in cui il diritto di proprietà può essere sacrificato in ragione di un interesse ritenuto prevalente: l’interesse dei figli minori.

In quali casi il Giudice decide l’assegnazione della casa coniugale al coniuge che non ne è il proprietario?

Il Giudice, dunque, è tenuto ad assegnare la casa coniugale al coniuge cd. collocatario dei figli minori, ossia al coniuge con il quale i figli prevalentemente vivranno.

L’assegnazione della casa coniugale, infatti, costituisce in questo caso una garanzia per il figlio minorenne di poter continuare ad abitare nell’ambiente in cui è cresciuto.

E ciò anche dopo la separazione o il divorzio del genitori.

Per la verità, il medesimo principio vale anche per il caso in cui i genitori non siano sposati.

Nel momento della crisi della famiglia, infatti, è riconosciuta anche ai figli nati da genitori non sposati, la medesima tutela.

In tal caso, si parlerà di assegnazione della casa famigliare e non coniugale, ma con i medesimi criteri che valgono per i genitori sposati.

Dopo le ultime riforme, infatti, i figli nati da genitori non sposati sono equiparati in tutto e per tutto ai figli nati da genitori coniugati.

Quali sono le conseguenze dell’assegnazione della casa coniugale?

Con l’assegnazione della casa, il coniuge assegnatario, pur non avendone la proprietà, o avendola solo in parte (nel caso in cui la casa sia cointestata), avrà il diritto esclusivo di godere dell’immobile, finché vi abiterà con i figli.

L’assegnatario sarà tenuto a provvedere a tutte la spese relative alla manutenzione ordinaria, alle spese condominiali ordinarie ed a tutte le spese inerenti all’utilizzo dell’immobile.

L’assegnazione costituisce un diritto personale di godimento in favore del coniuge assegnatario e non priva il proprietario del suo diritto di proprietà.

Competeranno quindi al proprietario il pagamento delle spese straordinarie e dell’IMU se dovuta.

L’assegnazione della casa coniugale è prevista anche se il figlio è maggiorenne?

In presenza di figli maggiorenni, l’assegnazione della casa coniugale può essere decisa dal Giudice solo se i figli, pur maggiorenni, siano disabili ovvero non siano ancora economicamente indipendenti.

Questi sono i soli casi in cui, in presenza di figli maggiorenni, il Giudice può comunque disporre l’assegnazione della casa coniugale.

Quando si perde il diritto all’assegnazione della casa coniugale?

Il diritto all’assegnazione della casa coniugale si può perdere per diversi motivi, che di seguito passiamo in rassegna.

L’indipendenza economica dei figli maggiorenni ovvero il trasferimento dei figli in altra abitazione,  farà cessare il diritto del coniuge assegnatario all’assegnazione della casa coniugale.

Perderà altresì il diritto all’assegnazione della casa coniugale il coniuge assegnatario che smetta di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio.

Recentemente i Giudici si sono pronunciati sul fatto che la nascita di un figlio da una relazione dell’assegnatario sia indice di una stabile relazione, da equipararsi ad una convivenza more uxorio.

Ciò a prescindere dal fatto che l’altra persona abbia o meno trasferito la residenza presso la casa coniugale e conservi un’altra abitazione.

Sarà sempre e comunque il Giudice a dover valutare che la cessazione del diritto di assegnazione della casa coniugale sia conforme all’interesse dei minori.

Considerata l’importanza dell’argomento è sempre consigliato affrontare ogni decisione in ordine all’assegnazione della casa coniugale con l’assistenza di un avvocato divorzista esperto.