L’assegno di mantenimento al coniuge divorziato cambia ancora.
Nell’aprile 2017 la Cassazione, con la notissima sentenza Grilli, rivoluzionava i criteri per l’assegno di mantenimento al coniuge divorziato.
La Corte di Cassazione sovvertiva in un solo colpo principi consolidati da oltre trent’anni.
Semplificando il principio stabilito dalla Corte di Cassazione 2017 e già più volte affrontato, l’assegno di mantenimento al coniuge divorziato non si sarebbe più fondato sul tenore di vita goduto durante il matrimonio, considerato che il divorzio recide ogni rapporto tra i coniugi, bensì sul fatto che il coniuge più debole economicamente non avesse un reddito sufficiente al proprio sostentamento.
L’autosufficienza economica diveniva dunque il criterio per determinare se fosse o meno dovuto l’assegno divorzile.
Tutte le ex-mogli che godono di redditi propri, anche se decisamente inferiori a quelli del marito ed insufficienti a garantire il medesimo tenore di vita tenuto durante il matrimonio, dunque, non avrebbero più avuto diritto all’assegno di mantenimento da parte dell’ex marito.
Risultato: ex-mariti in festa ed ex-mogli in lutto.
Tale decisione ha fatto gridare allo scandalo soprattutto le mogli di mariti facoltosi, il cui mantenimento veniva minacciato dal nuovo orientamento.
Mentre infatti tale decisione poco avrebbe inciso sul mantenimento dovuto alle ex-mogli prive di un reddito e di un patrimonio in grado di fornire loro l””autosufficienza economica“, per le ex-mogli di mariti facoltosi, che già godevano di propri patrimoni, oltre che di un lauto mantenimento erogato in sede di separazione, la rivoluzionaria sentenza del 2017 avrebbe fatto la differenza tra un cospicuo contributo e l’annullamento dell’assegno.
A distanza di un anno, nel giugno 2018, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, torna sull’argomento.
Considerato che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione intervengono proprio per dirimere un contrasto giurisprudenziale, si può forse dire che quest’ultimo intervento chiuda, almeno nell’immediato, ogni questione sull’assegno di mantenimento al coniuge divorziato.
E quindi chi ha vinto? Mogli o mariti?
Forse nessuno dei due, ma certamente i mariti onerati di un assegno di mantenimento a favore delle mogli in sede di separazione, non avranno più tanta fretta di divorziare.
E’ tornato tutto come prima? Si torna a considerare il tenore di vita goduto durante il matrimonio?
Ecco come cambia l’assegno di mantenimento al coniuge divorziato dopo la sentenza della Cassazione 2018.
La Corte di Cassazione 2018 prende le distanze sia dal criterio usato per trent’anni riferito al tenore di vita goduto durante il matrimonio, sia dal criterio adottato nel 2017 dell’autosufficienza economica.
La Corte di Cassazione, all’esito di un ragionamento estremamente complesso sulla funzione e la natura dell’assegno al coniuge divorziato, si trova a prendere atto della più evidente criticità dell’ultimo orientamento.
L’orientamento del 2017, infatti, rischiava di penalizzare fortemente l’ex coniuge che avesse rinunciato alle proprie chance professionali per assumere un ruolo interno alla famiglia, contribuendo in tal modo alla realizzazione del patrimonio familiare o dell’altro coniuge, magari dopo una lunga vita matrimoniale, in conseguenza di una scelta condivisa tra i coniugi.
E’ proprio sul fatto che le condizioni dei coniugi al momento del divorzio siano per lo più dovute a scelte condivise durante il matrimonio ad improntare il nuovo orientamento.
Per decidere se sia dovuto un assegno di mantenimento al coniuge divorziato, il Giudice dovrà innanzitutto effettuare una valutazione concreta ed effettiva dell’adeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente e dell’eventuale incapacità di procurarseli per ragioni oggettive.
La prima indagine che dovrà essere effettuata, dunque, è sulle condizioni economico-patrimoniali dei due coniugi.
Nel caso in cui vi fosse una rilevante disparità della situazione economica del coniuge che richiede l’assegno di mantenimento rispetto a quella dell’altro coniuge, il Giudice dovrà verificare se tale disparità sia dipendente dalle scelte di conduzione della vita familiare adottate e condivise durante il matrimonio.
Si dovrà quindi accertare se la condizione di squilibrio economico patrimoniale sia stata determinata dalla scelta condivisa tra i coniugi che la moglie si dedicasse esclusivamente ad un ruolo interno alla famiglia e dal conseguente contribuito fattivo alla formazione del patrimonio comune e a quello dell’altro coniuge.
In tal caso l’assegno di mantenimento al coniuge divorziato sarà determinato in relazione alla durata del matrimonio e all’età del richiedente ed alle condizioni del mercato in relazione alle specifiche competenze.
Sul presupposto che i coniugi hanno potuto decidere consapevolmente e liberamente come impostare i loro rapporti economici ed i propri ruoli familiari, il divorzio non deve pregiudicare il coniuge economicamente più debole.
Il Giudice del divorzio dovrà quindi valutare l’effettivo contributo dato dal coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio comune e alla formazione del profilo economico patrimoniale dell’altra parte, anche in relazione alle potenzialità future.
La natura e l’entità di tale contributo è infatti il frutto delle decisioni comuni, riguardanti i ruoli interni alla famiglia di ciascun coniuge anche in relazione all’assolvimento dei doveri assunti con il matrimonio.
Quei doveri indicati nell’art. 143 c.c. (“Diritti e doveri reciproci dei coniugi”), cioè in uno di quegli articoli del codice civile che vengono letti durante la funzione del matrimonio e che i coniugi da quel momento sono tenuti a rispettare.
La valutazione sull’adeguatezza dei mezzi e della capacità (incapacità) di procurarseli deve essere calata nel “contesto sociale” del richiedente.
Contesto sociale che può essere influenzato anche da situazioni che sono conseguenza della relazione coniugale, specie se di lunga durata e specie se caratterizzata da uno squilibrio nella realizzazione personale e professionale fuori nel nucleo familiare.
Lo scioglimento del vincolo incide sullo status ma non cancella tutti gli effetti e le conseguenze delle scelte e delle modalità di realizzazione della vita familiare.
L’assegno al coniuge divorziato dà riconoscimento al contributo dato durante il matrimonio.
La funzione equilibratrice dell’assegno al coniuge divorziato, secondo l’ultimo orientamento della Corte di Cassazione non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita coniugale ma soltanto “al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla realizzazione della situazione” che si presenta al momento del divorzio.
Secondo questo orientamento, quindi, se la moglie pur avendo proprie possibilità di carriera, vi avesse rinunciato per seguire il marito nella propria professione e dare stabilità alla famiglia, le spetterà, al momento del divorzio, un contributo che adeguato a consentirle di vivere nel medesimo contesto sociale anche dopo il divorzio.
Difficilmente potrà essere riconosciuto un mantenimento al coniuge divorziato che abbia sempre lavorato durante il matrimonio, realizzando magari minor fortuna del proprio coniuge.
Il rischio di ricadere nel vecchio principio del “tenore di vita matrimoniale” è comunque molto concreto e solo l’applicazione dei nuovi principi da parte dei Tribunali consentirà di valutare la vera portata innovativa di tale orientamento.
In divorzio richiederà ora, nuovamente, un’attenta valutazione e l’assistenza di un avvocato esperto in diritto di famiglia.