L’assegno di mantenimento all’ex-coniuge sembra diventato l’argomento dell’estate.
Salito agli onori della cronaca dopo la recente sentenza con cui la Corte di Cassazione ha deciso il divorzio tra l’ex Ministro dell’Economia, Vittorio Umberto Grilli, e la ex moglie, Lisa Caryl Lowenstein (negandole il mantenimento richiesto), il tema mantiene la ribalta a seguito della levata di scudi da parte delle ex-mogli separate che temono di perdere, con il divorzio, il mantenimento di un più o meno ricco tenore di vita, spesso garantito proprio dall’assegno di mantenimento ottenuto in sede di separazione.
Non volendo riprendere il contenuto della sentenza, argomento già affrontato in questo blog, ci limitiamo a ricordare che, dopo la sentenza in questione, i Tribunali determinano un assegno di mantenimento all’ex coniuge in sede di divorzio solo se il coniuge che lo richiede non abbia un reddito sufficiente a rendersi economicamente indipendente e non più – come invece era prima – a mantenere il tenore di vita goduto durante il matrimonio.
Si tratta evidentemente di una rivisitazione epocale, che avrà grandi ripercussioni economiche e sociali.
E’ infatti intervenuta sull’argomento anche la Signora Debora Roversi, moglie separata del noto campione di calcio Andrea Pirlo.
Con una lettera ad un noto rotocalco, la Signora Roversi, sottolinea di aver sostanzialmente rinunciato ad ogni tipo di realizzazione personale per rivestire a tempo pieno il ruolo di moglie e madre, consentendo al marito di mantenere la tranquillità, la serenità e la concentrazione necessarie per diventare, prima, e rimanere, poi, il campione sportivo che tutti conoscono.
Scrive la Signora Roversi a conclusione della propria lettera: “Non sono condivisibili le pretese di chi, pur avendo realizzato se stessa nel corso del matrimonio, voglia anche parte di quanto realizzato dal marito. Questo anch’io non lo considero giusto. Tuttavia la sentenza della Corte di Cassazione deve far riflettere sulla situazione di mogli che hanno donato completamente la propria esistenza, per le quali un semplice assegno «assistenziale» sarebbe non solo ingiusto ma anche offensivo“.
Sull’onda delle considerazioni che riguardano la propria personale situazione, la signora Roversi mette l’accento su un argomento che merita qualche riflessione.
Come può cambiare l’assegno di mantenimento all’ex-coniuge dalla separazione al divorzio, dopo la recente sentenza della Corte di Cassazione ?
Probabilmente cambierà poco per i coniugi con un medio-basso tenore di vita, ove il mantenimento per il coniuge economicamente più debole, già prima dell’intervento della Cassazione, difficilmente avrebbe superato la soglia dei 1.000 € mensili.
Al contrario, però, nel caso della Signora Roversi, o di altre illustri mogli separate (la moglie di Silvio Berlusconi, per citare un caso notissimo), la sentenza in questione, al momento del divorzio, può fare la differenza tra un cospicuo mantenimento e nessun mantenimento (come nel caso della ex Signora Grilli), ovvero, un mantenimento “assistenziale” di 1.000 € mensili.
Paradossale! O meglio, “offensivo” secondo la Signora Roversi, la quale suggerisce, in effetti, alcuni spunti interessanti per una riflessione sul riconoscimento di una tutela che, tuttavia, il nostro ordinamento prevede già, ma sotto un profilo patrimoniale.
A dirla tutta, infatti, probabilmente non era l’assegno di mantenimento lo strumento pensato dal legislatore per tutelare il “coniuge economicamente più debole“, in occasione della separazione, prima, e del divorzio, poi.
La signora Roversi, infatti, ha rappresentato – sia pure con altre proporzioni – il caso tipico della famiglia patriarcale del secolo scorso, nella quale il marito lavorava e pensava quindi al sostentamento della famiglia, mentre la moglie si occupava di organizzarla, di gestirla nella quotidianità, di crescere i figli e di darle serenità.
E’ evidente che nella famiglia tradizionale così descritta, l’apporto della moglie “casalinga” era fondamentale anche per consentire al marito di realizzare la propria carriera, quale essa fosse, e di mantenere il proprio ruolo sociale.
E quindi come tutelare i diritti del coniuge economicamente più debole che sacrifica la realizzazione professionale per la famiglia, consentendo all’altro coniuge di fare carriera?
Con il regime della Comunione dei beni!
Proprio allo scopo di riconoscere alla moglie i diritti giustamente meritati, la riforma del diritto di famiglia del 1975 introdusse la “comunione dei beni” come “regime patrimoniale legale” della famiglia, applicato automaticamente in assenza di diverso accordo dei coniugi.
Il regime della “comunione dei beni“, tuttavia, è ormai sempre meno consueto anche quando, come nel caso dei coniugi Pirlo, la scelta di tale regime avrebbe dovuto essere quella naturale, proprio a tutela del coniuge più debole.
Il nostro ordinamento prevede dunque già una tutela per il coniuge che sacrifica ogni possibilità di realizzazione professionale per seguire l’altro coniuge in una folgorante carriera, ma tale decisione dovrebbe essere assunta al momento del matrimonio, o anche durante il matrimonio, quando i coniugi decidono che uno dei due privilegerà la carriera e l’altro la sacrificherà per agevolarlo.
Si tratta di una scelta di onestà e riconoscimento da parte del coniuge che farà carriera nei confronti del coniuge che la sacrificherà a favore della famiglia che insieme si apprestano a formare.
Così il matrimonio diventa una sorta di società, in cui entrambi i coniugi puntano sulla carriera di uno dei due per ottenerne profitto entrambi.
Se i coniugi Pirlo fossero stati in comunione dei beni, al momento della separazione tutto il patrimonio esistente accumulato durante il matrimonio sarebbe stato diviso in parti uguali e la Signora Roversi avrebbe avuto il giusto riconoscimento del ruolo svolto accanto al marito.
E’ tuttavia incredibile che, in un momento in cui tanto si parla di introdurre nel nostro ordinamento gli “accordi prematrimoniali”, pur avendo ben presente quali saranno i rispettivi ruoli all’interno della famiglia che si apprestano a fondare, gli sposi optino comunque, sempre più frequentemente, per il regime della “separazione dei beni”, certamente meno tutelante per il coniuge “economicamente più debole”.
La Corte di Cassazione, dunque, in materia di assegno di mantenimento all’ex coniuge ha fatto una scelta corretta ed in linea con le più recenti istanze sociali.
Il cambiamento repentino, tuttavia, può avere effetti negativi su chi aveva confidato nel diritto al mantenimento anche dopo il divorzio ed aderito, quindi, alla scelta della separazione dei beni, pur se meno tutelante.
Il nuovo orientamento giurisprudenziale rende quindi sempre più importante che i futuri coniugi si informino correttamente su quale regime patrimoniale possa meglio tutelare entrambi a seconda della modalità con cui verosimilmente verrà gestito il matrimonio e la futura famiglia, anche avvalendosi di un avvocato matrimonialista esperto in diritto di famiglia.